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FOCUS TEMATICI

Il Monumento ai ferrovieri caduti per la Patria di Arturo Dazzi a Villa Patrizi

Cento anni fa si compiva l’ultimo viaggio in treno del milite ignoto, un evento sentito da tutto il Paese e che coinvolse le Ferrovie chiamate a dare il loro fondamentale contributo organizzativo. Due anni dopo la categoria si mobilitò ancora per celebrare degnamente i tanti ferrovieri caduti in guerra dando vita ad un’iniziativa di raccolta fondi per la realizzazione di un monumento che ricordasse il sacrificio del personale ferroviario.    

Il Monumento ai 1.196 ferrovieri caduti per la Patria nel corso del Primo conflitto mondiale fu collocato all’ingresso della sede della Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato a Roma, in Piazza della Croce Rossa, e fu inaugurato il 24 giugno 1923, alla presenza del re Vittorio Emanuele III e delle più alte cariche dello Stato.

L’idea di onorare degnamente la memoria dei ferrovieri dello Stato caduti nella Prima guerra mondiale nacque nel gennaio 1916 fra alcuni impiegati della Direzione Generale FS e fu accolta con favore dal Direttore Generale delle FS, ing. Carlo Crova, animatore di iniziative patriottiche e grande organizzatore dell’impegno bellico delle Ferrovie dello Stato. Il 15 gennaio del 1916 si costituì il Comitato esecutivo per le onoranze ai ferrovieri dello Stato caduti per la Patria, di cui fu acclamato Presidente lo stesso Crova.

Il Comitato decise di realizzare un monumento ai caduti nella sede di Villa Patrizi e di pubblicare un Albo d’onore dei ferrovieri caduti in guerra. Le prime sottoscrizioni volontarie dei ferrovieri misero insieme, nel 1917, circa 42 mila lire e nel 1918, con il favore della categoria, il Comitato ottenne la proroga di un mese della trattenuta dell’1% sullo stipendio istituita all’inizio del conflitto a favore delle famiglie dei richiamati e della Croce Rossa. Tale proroga, dedicata interamente alle onoranze ai caduti, consentì di raccogliere altre 226 mila lire.

L’Amministrazione ferroviaria contribuì con un’offerta di 20 mila lire, assunse a proprio carico le spese per le fondazioni dell’erigendo monumento e concesse gratuitamente tutti i trasporti per le necessità del Comitato. Dal Ministro della Guerra si ottenne la concessione gratuita del bronzo – raccolto sui campi di battaglia – necessario alla fusione delle parti scultoree del monumento.  Il 22 dicembre del 1919 fu bandito un concorso nazionale. Il desiderio dell’Amministrazione di custodire in sede propria il ricordo sacro dei caduti fece scartare l’ipotesi di collocare il monumento all’esterno del recinto di Villa Patrizi. Il Comitato, assistito da esperti, individuò così una soluzione armonica per la sistemazione del recinto e dei circostanti accessi al palazzo che diede una adeguata cornice alla collocazione del monumento. All’esecuzione del monumento fu assegnata la somma di 250 mila lire. Il concorso si chiuse il 1° luglio 1920 e le opere furono giudicate da una giuria, presieduta dal Sottosegretario alle antichità e belle arti, composta dagli scultori Giovanni Prini e Domenico Trentacoste e dall’architetto Marcello Piacentini. Risultò vincitore lo scultore Arturo Dazzi con il quale fu stipulato il contratto nel settembre del 1920.

L’artista eseguì un basamento alto 7 m in grossi blocchi di botticino delle cave Lombardi di Rezzato. Lo stilobate consta di quattro blocchi verticali dello spessore di 80 cm sulle cui facce sono incisi i nomi dei 1.196 ferrovieri caduti in guerra, sormontati dal concio unico del fregio.

Le due statue in bronzo sono opere di fusione realizzate nello stabilimento Vignali di Firenze: quella inferiore rappresenta il Ferroviere al suo posto notturno di lavoro, in tenuta da pioggia, ed è alta m 3,20; quella superiore simboleggia il Combattente e misura m 4,50 di altezza. L’elevazione totale del monumento è di circa 12 metri. La faccia anteriore della base, su cui riposa la statua inferiore, porta in lettere di bronzo l’iscrizione:

24 giugno 1923: la cerimonia di inaugurazione del Monumento

La cerimonia per l’inaugurazione del Monumento fu organizzata con ogni cura dall’Ufficio di Presidenza del Comitato che, per disciplinare la partecipazione del gran numero di invitati, organizzò anche lo spazio esterno al recinto sin quasi al Castro Pretorio e a Via Montebello. Di fronte al monumento fu posta la tribuna reale e tutto attorno alla base del Monumento, al posto d’onore, furono sistemate le famiglie dei ferrovieri caduti e due settori specifici furono dedicati ai piccoli orfani dei caduti (Fondazione Elena di Savoia) e ai figli dei ferrovieri (Dopo Scuola Baccarini e Fondazione Di Camillo). Seguivano i posti d’onore per i ferrovieri mutilati e per le rappresentanze della categoria. Dalla toccante cronaca dell’epoca ricaviamo il brano che segue:

Le famiglie dei caduti erano rappresentate da circa 400 persone: parecchie erano venute da lontano per assistere al sacro rito e dar lacrime e fiori alla memoria dei loro cari defunti; molte recavano di Essi al petto le medaglie e le immagini. Appariva, fra i più decorati il padre di Enrico Toti.

Alla cerimonia assistette una folla di oltre 13 mila persone in un tripudio di bandiere tricolori e al suono della banda dell’arma dei Granatieri. Tutte le più alte cariche dello Stato erano presenti; alle 17,20 giungeva il Presidente del Consiglio Benito Mussolini e alle 17,30, accompagnato dal suono della Marcia Reale, giungeva il re Vittorio Emanuele III.

Questa la cronaca del momento dell’inaugurazione:

Ad un cenno del Presidente del Comitato cadono le tele, manovrate da militi ferroviari decorati, rivelando l’opera mirabile e poderosa di Arturo Dazzi. Un grande applauso si leva d’intorno per l’ampia piazza: tutte le bandiere e gli astanti salutano con reverenza e raccoglimento. Echeggiano dolcemente le note della Canzone del Piave.

Subito dopo lo scoprimento dell’opera Padre Giovanni Semeria impartì la santa benedizione e pronunciò una allocuzione dai toni forti e commoventi. Di seguito un estratto di questo brano di particolare intensità retorica diretto ai ferrovieri:

“Dove passa il cannone, fa il deserto; dove penetra la macchina vostra, il deserto della barbarie scompare sotto i fiori ed i frutti della civiltà. Come il bronzo di questo monumento, più perenne di questo bronzo, aere perennius, stia qui a Roma, spandendosi di qui per l’Italia, lo spirito di lavoro, di disciplina e di sacrificio, che dopo l’alloro bellico della vittoria ci garantirà le pacifiche vittorie della civiltà e del progresso.”

L’artista Arturo Dazzi (1881-1966)

Arturo Dazzi nacque a Carrara nel 1881. Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti della città, iniziò la sua attività di scultore celebrando nelle sue opere il lavoro umano, lo sforzo e le sofferenze che lo accompagnano, secondo i canoni della scuola verista.

Nel 1904 si trasferì a Roma dove collaborò alle decorazioni del palazzo di Giustizia e partecipò al concorso per le decorazioni scultoree del costruendo Altare della Patria. Classificatosi al secondo posto si pose però all’attenzione della critica per il pregio e la modernità delle opere proposte.

Scultore di vocazione classicista si accostò ben presto al liberty imperante. Amico di Carrà ne seguì poi il percorso metafisico aderendo, nel corso della Biennale di Venezia del 1926, al Gruppo del Novecento.

Le sue opere si orientarono, progressivamente, verso forme di plasticismo arcaizzante con realizzazioni dalle forme compatte e salde dal forte significato nazionalistico, secondo l’indirizzo preso dalle arti figurative nel corso degli anni ’20. Opere esemplari di tale atteggiamento furono il “Monumento a Enrico Toti” sul Pincio (1919-1920) e il “Monumento al ferroviere” (1923) nella sede di Piazza della Croce Rossa, accolte con grande favore dalla critica. Nel 1922 iniziò a collaborare con l’architetto Marcello Piacentini, dedicandosi alla realizzazione di molti monumenti ai caduti tra i quali, di particolare rilievo, l’Arco di Trionfo di Genova, ideato e costruito assieme a Piacentini. Nel corso degli anni ’20 e ’30 partecipò alle più importanti esposizioni internazionali vincendo il “Grand Prix” di Parigi nel 1937. Sempre nel 1937 fu nominato Accademico d’Italia. Poco prima della guerra ebbe l’incarico di eseguire la stele celebrativa di Guglielmo Marconi per l’Esposizione Universale di Roma del 1942 (sospesa per lo scoppio della guerra). La grande opera, una stele a forma di tronco di piramide alta 45 m, fu poi terminata dal Dazzi nel dopoguerra ed installata nel quartiere dell’EUR, nel 1959, lungo la via Cristoforo Colombo.

Bibliografia

Comitato esecutivo per le onoranze ai ferrovieri caduti per la Patria: 1915-1918, Albo d’onore dei ferrovieri caduti per la Patria, Roma 1923. 

A.V. Laghi, Arturo Dazzi scultore e pittore, 1881-1996, Pisa 2012.